Fervono già gli incessanti preparativi a Catania, poiché manca sempre meno alla festa più importante della città.
Stiamo parlando della festa di Sant’Agata, che ha inizio il 3 febbraio e che coinvolge non solo il capoluogo etneo ma anche fedeli da tutte le parti del mondo.
Ci aspettano 3 giorni di festa, di processioni e di attività tipiche, di gioia e anche di specialità gastronomiche locali.
A questa ricorrenza si legano infatti alcune ricette tipiche del catanese, come le minne di Sant’Agata o le olivette di Sant’Agata.
La vita della santa
Ma partiamo con ordine, per capire il perché di tanta devozione nella città ai piedi dell’Etna.
In effetti, la santa era appartenente ad una importantissima famiglia patrizia catanese, sebbene secondo alcune agiografie potrebbe essere nata a Palermo.
Fatto sta che la sua famiglia ha una grande rilevanza in città, e qui Agata, nata intorno all’anno 230, muove i suoi passi, tra le agiatezze e i poderi della sua famiglia, che però aveva abbracciato la fede cristiana.
Fede che, in quel momento, era oggetto della feroce persecuzione dell’imperatore Decio, messa in atto nella città etnea dal proconsole Quinziano.
Per questo motivo Agata e i suoi familiari fuggono nella loro residenza a Palermo, alla Guilla (nel quartiere del Capo).
Il proconsole riesce però a trovarli e a farli riportare a Catania, passando anche per un punto del capoluogo siciliano oggi definito Porta di Sant’Agata.
Quando Quinziano vide Agata per la prima volta, si invaghì di lei, ma il rifiuto e la sua fede cristiana (unita all’allettante ricchezza della sua famiglia) portò il proconsole ad affidarla alla cortigiana Afrodisia, sacerdotessa di Venere (come evidente dal nome), affinché la corrompesse al paganesimo con minacce e seduzioni.
Ma l’animo di Agata era forte, e ne uscì talmente rinforzato che l’unica strada per Quinziano, a questo punto, fu quella del processo, cui seguirono torture di indicibile sofferenza.
Alla santa furono slogate caviglie e polsi e con delle tenaglie le furono rimosse le mammelle (da cui il dolce a cui abbiamo accennato), ma le ferite furono risanate nella notte dalla visita di San Pietro.
Fu poi sottoposta al martirio dei carboni ardenti, e in seguito a tale tortura, nella notte successiva spirò nella sua cella, intorno al 251.
La festa di Sant’Agata: il culto della santa
Subito dopo la morte, la vita e l’esempio della santa furono presi come punto di riferimento dai cristiani di Catania e di tutta la Sicilia, che iniziano a venerarla, anche grazie ad alcuni miracoli.
Appena un anno dopo la sua morte, Catania fu colpita da una violentissima eruzione dell’Etna, che minacciò l’intera città.
I fedeli presero dalla cattedrale il velo – ancora oggi venerato in cattedrale, facendo parte del vestiario della diaconessa durante il supplizio – portandolo in processione. Pochi giorni dopo l’eruzione si fermò, esattamente il 5 febbraio, giorno del martirio.
Altre volte, secondo la tradizione e le fonti storiche, il velo della santa salvò la città da violente eruzioni.
Ma anche da terribili epidemie di peste, che sempre secondo i racconti si fermarono improvvisamente dopo le processioni delle reliquie.
Sempre secondo la leggenda, l’intercessione a Sant’Agata risparmiò ai catanesi le razzie dei Mori, che imperversavano nel XII secolo sulle coste siciliane.
Un secolo dopo fu la volta di Federico II di Svevia, che voleva distruggere Catania in seguito alla sua ribellione. I catanesi ottennero di celebrare un’ultima messa, alla quale partecipò anche il re.
Nelle pagine del suo breviario apparve la frase noli offendere patriam Agathae quia ultrix iniuriarum est (non offendere la patria di Agata perché è vendicatrice di ogni ingiustizia).
Così Federico rinunciò al suo disegno di morte e si “accontentò” della sottomissione dei catanesi.
Patrona non solo di Catania
Per via di questi miracoli e del suo esempio, Sant’Agata è patrona dei catanesi ma anche della repubblica più antica del mondo, quella di San Marino, e dell’isola di Malta, dove la santa si era rifugiata prima di consegnarsi al supplizio.
Fu anche una delle sante protettrici di Palermo, fino all’avvento di Santa Rosalia nel Medioevo.
E la sua venerazione si lega anche a quella di Santa Lucia, patrona di Siracusa.
Lucia andò sulla sua tomba per pregare affinché la madre guarisse. Durante la preghiera le apparve la santa, che disse «perché sei venuta qui quando ciò che mi chiedi puoi farlo anche tu? Così come Catania è protetta da me, la tua Siracusa lo sarà da te».
E così, pochi giorni dopo la madre guarì ma Lucia fu sottoposta al martirio, in seguito al quale divenne santa.
A lei, oltre alla cattedrale, sono poi dedicate diverse chiese del capoluogo etneo. Fra queste ricordiamo la chiesa di Sant’Agata la Vetere che contiene il suo sepolcro.
Anche a Palermo, dove la santa si era rifugiata, sorge una chiesa a lei dedicata.
La festa di Sant’Agata: a sira ‘o tri
Come detto, la figura di Sant’Agata fu subito oggetto di devozione da parte della popolazione.
Ciò non solo per i suoi miracoli ma anche per il suo esempio di ribellione al dominio straniero.
Per arrivare però alla prima testimonianza di una festa in suo onore bisogna aspettare il 1126, anno in cui le reliquie di Sant’Agata furono riportate in città dopo essere state trafugate quasi un secolo prima.
Si trattava però probabilmente di una semplice celebrazione, poiché la prima processione prese luogo nel 1376, anno di costruzione della vara, un fercolo oggi in argento che serve a trasportare il busto della santa assieme al reliquiario, anch’esso in argento, realizzato da Angelo Novara, in stile gotico.
La vara è adornata di garofani, e il loro colore indica in quale delle tre giornate ci troviamo – se si esclude il 3.
Infatti il primo giorno si tiene la luminaria, una processione in cui si porta in offerta la cera in onore della santa, che parte dalla Chiesa di Sant’Agata alla Fornace per arrivare in Cattedrale.
Il corteo è capitanato dalle dodici cannalori, carri lignei in stile barocco che rappresentano le corporazioni dei mestieri.
La prima giornata si conclude a tarda serata: nella sira ‘o tri va prima in scena un concerto lirico e successivamente uno spettacolare evento pirotecnico.
Una serata bellissima e irripetibile, da cui deriva il detto catanese “mancu a sira ‘o tri”.
Cittadini! Cittadini!
Nei due giorni successivi scende in strada invece la vara. La quale, si noti, non è l’originale, distrutta nei bombardamenti del 1943.
Quella attuale è la fedele ricostruzione del 1947 a opera di Giuseppe Barresi.
Nella giornata del 4, la vara si adorna di garofani rossi, simbolo della passione del martirio. Su di essa, come detto, oltre al reliquiario anche il busto, che contiene anch’esso delle reliquie (il teschio e la cassa toracica).
Nel cuore della notte, alle 3:30, i devoti aprono violentemente (ormai non più per motivi di sicurezza) le porte della cattedrale, recandosi al sacello e portando busto e scrigno sull’altare, dove avviene poi la messa.
Alla fine inizia la processione, con la vara preceduta dalle cannalori e trasportata dai cittadini (i devoti).
Questi indossano il saccu, un saio bianco, e un copricapo di velluto nero, un cordone e un fazzoletto sventolato al grido “Semu tutti divoti, tutti. Cittadini, cittadini! Viva sant’Àjita”.
La processione segue un giro all’esterno delle antiche mura della città, durando tutto il giorno e tornando in cattedrale solo all’alba del 5.
In questa giornata, i garofani rossi lasciano posto a quelli bianchi, e inizia la processione, questa volta all’interno della città, per fare ritorno in cattedrale nuovamente all’alba del 6 febbraio, a conclusione di una festa spettacolare.
La festa di Sant’Agata: non solo devozione
Ovviamente, l’occasione religiosa è contornata per tutti i giorni di festa e non solo da eventi paralleli che riguardano diversi aspetti.
Come già detto, la sera del tre si tiene uno storico concerto e lo spettacolo pirotecnico e musicale.
Oltre a questo, nella settimana della festa di Sant’Agata si tiene anche la Fiera, un grande mercato che rimane aperto fino a notte, il quale ha origini antiche.
Tra le bancarelle è possibile trovare non solo vestiti, regali per grandi e piccini e tanti oggetti caratteristici, ma anche specialità della cucina catanese. In particolare i dolci tipici della festa di Sant’Agata.
Si inizia con le minne di Sant’Agata, delle cassatelle di pasta reale ripiene di ricotta, ornate in cima da delle ciliegie glassate: il tutto ricorda simbolicamente il martirio della santa, privata violentemente del suo seno.
Se non vi basta, potete assaggiare anche le olivette di Sant’Agata, un dolcetto a base di pasta di mandorle, colorata di verde e insaporita dall’aggiunta di liquore, che ricorda così le olive.
Questo dolce si lega ancora alla vita di Agata la quale, inseguita dai soldati romani, si fermò e toccando il terreno, vide spuntare un ulivo dai frutti maturi con i quali poté sfamarsi.
Se vi trovate a Catania a inizio febbraio, vi consigliamo dunque di partecipare alla festa di Sant’Agata, un’esperienza imperdibile e dal grande valore religioso.