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Il pistacchio di Bronte (frastuca in lingua siciliana) è una varietà di pistacchio coltivata nelle campagne di Bronte e Adrano, comuni della provincia di Catania.
Un po’ di storia
L’albero del pistacchio (la denominazione scientifica è Pistacia vera) è un albero conosciuto in Medio Oriente già nel periodo preistorico. Infatti, Ateneo di Naucrati, scrittore greco dell’età ellenistica, ci informa che il bistachion (così era chiamato dagli ellenici) era ampiamente coltivato nell’antico territorio persiano e anche nella remota India.
Secondo la testimonianza di Plinio il pistacchio giunse in Italia all’inizio del I secolo d.C., trapiantato dal censore Lucio Vitellio che era tornato dalla Siria alla fine del suo mandato. L’albero arriva così in Sardegna e in Sicilia, dal momento che i romani ritenevano il clima mediterraneo delle isole maggiori più vantaggioso per la crescita del pistacchio.
La coltura del pistacchio in Sicilia acquista maggior rilievo durante il periodo della conquista araba dell’isola; ma, paradossalmente, vi è un calo drastico della produzione di pistacchio proprio sotto il dominio arabo. Infatti, gli agricoltori orientali, poco avvezzi alla coltivazione di questa pianta, eliminarono gli alberi improduttivi, non sapendo che questi, all’apparenza inutili, erano alberi impollinatori, necessari quindi alla sopravvivenza della pianta.
Questa straordinaria cultivar rischiò l’estinzione, sopravvivendo come pianta di scarso valore. Infatti, proprio durante il Medioevo, il termine “pistacchio” divenne simbolo di persone o cose di poco conto.
Solamente all’inizio del XX secolo la coltivazione di pistacchio si riaffermò nelle campagne di Bronte; non per nulla l’isola della Trinacria in questo periodo era il maggior produttore a livello mondiale.
Oggi la coltivazione del pistacchio si afferma nel Vicino Oriente e nei territori cinesi, ma anche oltreoceano, nelle campagne della California.
Caratteristiche della pianta
L’albero, che raggiunge in media i 5 metri di altezza, presenta una corteccia grigia e fronde molto estese, con foglie caduche. Si tratta di un albero asessuale, dal momento che ciascun arbusto presenta fiori di un solo sesso.
Il tempo di fioritura si attesta tra gli ultimi giorni di aprile e i primi di maggio; il ciclo di fruttificazione è invece biennale. Il frutto consiste in una drupa, ovvero un frutto di consistenza carnosa, che contiene al suo interno un solo seme di forma allungata, caratteristico per il colore verde vivo, coperto da una buccia viola.
La varietà brontese
Un’importante varietà di questa pianta è costituita dal pistacchio di Bronte, definito dagli abitanti del comune catanese scornabecco (corno di capra).
Come è già stato citato, il pistacchio arriva in Italia e successivamente nell’isola per opera di Lucio Vitellio, di ritorno dal Medio Oriente. La pianta riesce a svilupparsi sul terreno lavico del catanese; così, alle pendici dell’Etna, nasce la cultivar del pistacchio di Bronte.
Grazie agli arabi la coltivazione di questa pianta prende piede con decisione. Ne è una prova il fatto che ancora oggi i catanesi, per indicare il pistacchio di Bronte, utilizzano il termine “frastuca”, derivante dalla parola araba “frastuch”; il termine dialettale “frastuchino” è invece utilizzato per indicare il colore verde acceso del pistacchio.
Il pistacchio di Bronte è una varietà che può raggiungere i 10 metri di altezza, ma i coltivatori effettuano la potatura, per consentire una raccolta più facile.
Il pistacchio di Bronte, che può vivere fino a 300 anni circa, cresce dall’omonimo paese fino alle campagne di Ragalna, un paesino a ridosso del vulcano; la peculiarità del pistacchio di Bronte sta nel fatto che l’albero può ricrescere anche dopo una colata di lava. Bisogna ricordare poi l’importanza del terebinto, un arbusto con un’altezza media di 5 metri, che produce diverse drupe verdi o rosse.
Il terebinto è utilizzato come portainnesto, consentendo così la sopravvivenza del pistacchio di Bronte anche sui terreni più impervi.
La raccolta
La raccolta del pistacchio di Bronte si compie ogni due anni, sempre dispari. Negli anni in cui non avviene la raccolta, detti anni di scarica, si effettua la cosiddetta potatura verde, ovvero la rimozione a mano delle drupe in fase di sviluppo.
La raccolta del pistacchio di Bronte comincia dai primi giorni di settembre; nel caso in cui non vi siano precipitazioni nei giorni precedenti, l’agricoltore è costretto a utilizzare impianti di irrigazione. E’ tuttora eseguita manualmente, raccogliendo i frutti sistemati in ceste tenute a spalla oppure scuotendo le fronde dell’albero facendo così cadere le drupe su reti posizionate ai piedi degli arbusti.
Subito dopo la raccolta si toglie la pelle attorno al guscio e si lascia il frutto al sole per 3/4 giorni. In questa maniera si scongiura il pericolo di assalto da parte di parassiti.
Il pistacchio di Bronte (che dopo la fase di asciugatura si denomina tignosella) viene venduto al grossista, che si adopererà a sgusciarlo.
Fino ad alcuni anni fa si sgusciava il pistacchio in casa, con la partecipazione di tutti i familiari; si percuoteva, tramite un martello (in dialetto catanese ‘u sciffu), il guscio nella punta, lasciandolo così integro.
Un’importante innovazione
Alla fine del secondo conflitto mondiale un ex generale ebbe una trovata geniale. Egli vide una somiglianza tra il martello usato per sgusciare il pistacchio e la pistola usata in guerra. Inventò così un macchinario che permetteva di sgusciare la tignosella, formato da un pistone che percuote i gusci. Oggi i produttori utilizzano ancora questo macchinario, ovviamente con alcuni miglioramenti.
Successivamente i pistacchi sono pelati, ovvero privati dell’endocarpo (la sottile pellicina viola). Il frutto viene immesso in uno “scottatore” pieno di acqua alla temperatura approssimativa di 90 °C, e in questo modo la pelle si gonfia. Il pistacchio viene fatto passare in mezzo a cilindri di gomma ruotanti e così la pellicina ormai fragile si stacca.
Da questa fase si ottengono i pistacchi come li conosciamo: piccoli e verdi. Adesso i pistacchi sono essiccati a bassa velocità.
Il prodotto finale, ormai secco, è così confezionato e venduto.
Impiego
Il pistacchio di Bronte è ora pronto a essere utilizzato in svariati modi. Con il pistacchio di Bronte si preparano gustose torte, freschi gelati, paste e torroncini, ma anche pesti, creme, liquori e la “filletta al pistacchio” (un prodotto dolciario originario di Bronte).
Nel territorio di Bronte si conta oltre un migliaio di produttori e una decina di aziende produttrici. L’Oro Verde di Bronte, coltivato su oltre 2500 ettari di terreno e lavorato sempre secondo i metodi tradizionali, costituisce l’80% della produzione dell’isola e lo 0,25% di quella mondiale.
Nel novembre del 2004 è stato istituito il Consorzio di Tutela del pistacchio di Bronte; grazie all’impegno di questo consorzio, nel 2009 il pistacchio di Bronte ha finalmente ottenuto l’importante riconoscimento D.O.P. (Denominazione di Origine Protetta).
Il pistacchio di Bronte è anche il protagonista di una manifestazione che si tiene annualmente durante gli ultimi giorni di settembre: l’Expo del Pistacchio di Bronte D.O.P.
Come abbiamo già accennato, durante l’oscuro periodo medievale il pistacchio era una pianta di poco valore; per questo motivo spesso si usava proprio il termine “pistacchio” per indicare persone immorali o pusillanimi.
Infatti, il sommo poeta Dante Alighieri, nel trentaquattresimo e ultimo canto dell’Inferno, si riferisce ai traditori dei benefattori, immorali e vili per eccellenza, proprio con il termine festuca (antica denominazione del pistacchio).
“Già era, e con paura il metto in metro,
là dove l’ombre tutte eran coperte,
e trasparíen come festuca in vetro”.