La salsiccia pasqualora (o sasizza pasqualora in lingua siciliana) è una delle numerose eccellenze enogastronomiche siciliane cui dedichiamo particolare attenzione nelle nostre pagine.
Tante di queste, così come tante ricette della tradizione culinaria siciliana, si legano indissolubilmente a dei periodi precisi dell’anno. Ciò non tanto per i tempi di maturazione naturali, quanto per la scelta del tutto umana di fissare come momenti di produzione o raccolta delle festività religiose, sia per comodità sia per devozione.
Questo è il caso della salsiccia pasqualora, che deriva dall’usanza di epoca medievale di conservare gli insaccati preparati a Carnevale per tutta la Quaresima (in cui era vietato consumare carne) per poi gustarli finalmente a Pasqua.
Da questa tradizione, tuttavia, la salsiccia pasqualora ha seguito poi il percorso inverso: si riservano alcuni tagli di carne di maiale, che poi saranno macellati durante la settimana santa per essere poi insaccati e mangiati durante l’estate.
In questa tradizione si inserisce anche la sasizza pasqualora di Partinico, a cavallo tra le province di Palermo e Trapani, dove si produce un tipo ancora più originale di salsiccia pasqualora: alla carne suina si aggiunge quella ovina, in virtù di un antico patto tra agricoltori e pastori di cui parleremo dopo.
L’insaccato partinicese è un’eccellenza unica nel panorama siciliano, che può essere mangiata sia cotta che cruda.
La lucanica
La parola siciliana sasizza deriva da salsiccia, che a sua volta ha origine dal termine tardo latino salsicia: quest’ultima è formata da salsicius (che significa salato) e insicia (ovvero la carne trita).
Nelle varie parti d’Italia si utilizzano parole diverse per indicare lo stesso prodotto (che a volte segue comunque ricette diverse).
Se per esempio in Lombardia la salsiccia – termine questo invece presente, oltre che in Sicilia, in tutto il Sud e fino alla Toscana – viene detta salamella, nel Triveneto prende il nome di luganega.
Quest’ultimo termine rivela in sé la storia e i natali dell’insaccato.
Sebbene infatti varie regioni d’Italia rivendichino la paternità della salsiccia, il suo luogo d’origine è proprio la Lucania (ovvero l’odierna Basilicata).
Questa era già consumata nell’epoca della colonizzazione greca, come testimoniato da alcuni ritrovamenti.
Ogni dubbio sarà comunque fugato dagli scrittori romani, primo tra tutti lo storico e agronomo Marco Terrenzio Varrone: nel De Re Rustica parla di un insaccato di carne di maiale condito con sale e spezie, chiamato lucanica proprio perché si trattava di una preparazione tipica dei Lucani.
Secondo autori come Cicerone, Apicio e Marziale, la lucanica fu poi introdotta a Roma dalle famose schiave lucane, diventando un piatto gradito dagli abitanti dell’Urbe.
Tipi di salsiccia
In epoca medievale, come detto, la lucanica prende il nome di salsicia, e l’insaccato continua la sua vita per più di due millenni fino ai giorni nostri.
Insaccati di carne di maiale in budelli di maiale e conditi con sale e spezie sono presenti in tutte le regioni d’Italia e anche oltre, arrivando in forme diverse anche nei territori germanici.
Se ne contano diverse tipologie, con ricette che variano da borgo a borgo. Tuttavia si può fare una macrodistinzione soprattutto per i termini utilizzati.
Così, in Veneto e in Friuli-Venezia-Giulia si consuma la luganega: può essere preparata con carne di maiale, ma anche di cavallo e vitello. Si tratta comunque di un insaccato molto tenero.
Ben diversa è la salamella mantovana, preparata con pancetta e spalla di maiale, mangiata esclusivamente cotta, ormai compagno immancabile delle partite allo stadio.
In Toscana, dove nasce il termine salsiccia, si prepara invece la salsiccia più tenera in assoluto, realizzata con coscia e spalla del suino.
La salsiccia siciliana
Al sud si afferma invece la tradizione della salsiccia punta di coltello, realizzata con pancettone e culatello, non macinati ma tagliati appunti in pezzi grossolani con la punta del coltello.
Questa metodologia nasce per evitare che il calore della macchina tritacarne guasti il cibo, mentre con l’uso esperto del coltello si preserva la qualità della carne che si può mangiare anche cruda (sebbene sia sempre più indicato cuocerla).
La salsiccia punta di coltello, in particolare quella siciliana, si prepara utilizzando coscia, pancetta e spalla, mescolate per bene assieme per evitare un risultato stopposo.
Il preparato viene poi insaporito con i semi di finocchietto selvatico, pepe nero e sale, e dopo un’ora viene insaccata nel budello.
La salsiccia pasqualora PAT
Anche la salsiccia pasqualora segue questo metodo e questa preparazione (utilizzando quindi solo carne suina tagliata col coltello), ma a cambiare sono i periodi di produzione.
Frutto di una tradizione già citata da Virgilio nelle sue Georgiche, è un prodotto agroalimentare tradizionale (P.A.T.) che deve il suo nome all’usanza di riservare della carne di maiale alla macellazione, eseguita rigorosamente durante la Settimana Santa.
La carne, tagliata a punta di coltello, viene condita con sale, pepe nero, finocchietto selvatico, peperoncino e vino bianco; insaccata nel budello di maiale creando una forma ad U, passa poi una stagionatura di due settimane, dopo la quale è pronta per il consumo, sia cotta (ad esempio alla brace) sia cruda, come un salamino.
Salsiccia pasqualora di Partinico
Questa tradizione della salsiccia pasqualora – che in tempi ancora più antichi indicava invece l’usanza di mangiare questo insaccato a Pasqua, dopo l’astinenza quaresimale – arriva anche a Partinico, comune importante della provincia di Palermo, centro nevralgico del comprensorio a cavallo con il territorio trapanese.
Anche qui si usa, fin da tempi antichissimi, la preparazione di una sasizza durante la Settimana Santa; tuttavia, si tratta dell’unico caso di salsiccia a punta di coltello, in cui alla carne suina si aggiunge quella di agnello.
Questa ricetta è frutto di un’usanza ormai consolidata, una sorta di antico contratto tra agricoltori e pastori.
In una logica di do ut des, i pastori ottenevano dal burgisi (proprietario terriero locale) la possibilità di pascolare il bestiame nei loro terreni. In cambio, però, ottenevano un agnello.
Quest’ultimo non era però adatto alla conservazione, per cui i burgisi facevano un altro scambio: davano parte della carne d’agnello al macellaio, ottenendo in cambio carne di maiale con la quale realizzare un insaccato misto di carne suina e ovina.
Caratteristiche della salsiccia o sasizza pasqualora di Partinico
Questa usanza antica è arrivata ai giorni nostri, coltivata ancora dagli agricoltori partinicesi, nonostante l’allevamento ovino sia oggi in costante riduzione.
La sasizza pasqualora di Partinico è caratterizzata dalla morbidezza della carne di agnello, unita alla consistenza del suino (che costituisce comunque il 60%) e al sapore di spezie come sale, pepe nero, finocchietto selvatico e vino catarratto.
Il preparato viene insaccato poi in un budello di maiale, diviso con dello spago in caddozzi (tocchi) e lasciato stagionare.
La sasizza pasqualora di Partinico può essere mangiata cotta, ad esempio sulla brace, ma anche cruda a mo’ di salame.
Curiosità
Nonostante le fonti letterarie riconoscano l’origine lucana della salsiccia, le varie regioni d’Italia si sono appropriate dei natali dell’insaccato: ad esempio, secondo la tradizione lombarda, la salsiccia sarebbe stata inventata dalla regina Teodolinda, che regalò la ricetta agli abitanti di Monza.
Col tempo, ogni paese ha sviluppato la sua ricetta.
È famosa la salsiccia di Bra, mentre in Emilia si produce la salsiccia matta, realizzata con carne infiltrata di sangue, che assume quindi un colore rosso scuro tipico di un ematoma – che in quella zona, dopo alcuni giorni, “ammattisce”, cioè diventa più scuro.
La salsiccia arriva anche al di fuori dell’Italia, in particolare in Germania.
Qui, in Baviera, nasce la salsiccia “Dachsund”, che significa “cane bassotto” vista la somiglianza.
Secoli dopo, gli emigrati tedeschi in America fecero conoscere la ricetta, che prese il nome di hot dog.